Il mondo salvato dai ragazzini- Elsa Morante

sabato 3 aprile 2010


Entrare in questi poemi di Elsa Morante, pubblicati nell’anno fatale del 1968, significa farsi un viaggio all’interno di un rigoroso, ma allegro, sperimentalismo poetico. Allegro nella sua vocazione ad infrangere linguisticamente la realtà data, a far emergere flussi, disarticolando la lingua, per esempio nello straordinario poema La serata a Colono, dove un Edipo contemporaneo, ricoverato in manicomio dopo l’accecamento, trova la sua Antigone stralunata, che in un linguaggio sgrammaticato e dialettale fa da eco agli strani monologhi del padre e lo accudisce con la sua pietas, un po’ pagana, un po’ contadina. Edipo è una sorta di indovino, sulle cui labbra affiorano versi di incredibile potenza, il suo è il vociferare amico delle estasi, riscritta la storia come fosse il poema radioso di un angelo ribelle e il mito, questa fede nell’immaginazione creativa dei popoli, è un mistero gioioso. Si fondono Ginsberg e Rimbaud, la Bhagavad Gita e Cagliostro, in un discorso che si realizza come intersecarsi di flussi, che sono agganciati tra loro, interrotti improvvisamente, poi ripresi.

Al centro di tutto il fastidio verso una borghesia che soffoca l’anelito alla libertà di una gioventù ancora incorrotta, artefice di slanci di follia capaci di generare un epos contemporaneo. Mi sembra questo il tentativo della Morante, in questo straordinaria raccolta di poemi, uno più potente dell’altro: accostare epica e parodia, mitologia e realismo. Una vena gnomica fa rabbrividire, e ci delizia allo stesso tempo. Come non sobbalzare davanti a versi come”E’ l’ora di cena. O fame di vita, nutriti/ancora alla sostanza quotidiana delle stragi” laddove una dimensione puramente colloquiale in apparenza ha la forza di diventare un apoftegma definitivo, una invocazione densa di echi. E’ una dimensione misterica, sapienziale, che affonda in secoli remoti e al tempo stesso è colta nella sua disintegrazione tutta contemporanea.

Così la Morante riempie i suoi poemi di personaggi e situazioni, in un divenire incalzante e fluido, mischiando narrativa, accenni lirici, quelli che sembrano piccoli film, teatro, canzoni. Ne vengon fuori tranche de vie appena abbozzate e subito abbandonate, come se una telecamera passasse indifferentemente da un personaggio all’altro, come se una certa tensione pulsasse nelle parole, per spingere al limite il racconto, verso la sua parodia, perché una gran risata vuole esplodere in questi versi, una allegria consapevole degli orrori, la stessa allegria che Pasolini riconosceva nel sottoproletariato di allora; una scandalosa allegria che mette in subbuglio il mortifero ordine della Storia.

Tra i protagonisti i Felici Pochi si contrappongono agli Infelici Molti, se”l’irrealtà è l’oppio dei popoli” essere ai margini, antiborghesi, concreti e sognatori, folli e anticonformisti come i primi, significa raggiungere una felicità spesso invisibile, perché per vederla ci vuole l’occhio puro. Abbiamo così fra i Felici Pochi, personaggi del calibro di Gramsci” la presenza di una città reale”, Rimbaud”l’avventura sacra”, Giordano Bruno”la grande epifania”, Platone”la lettura dei simboli”, Simone Weil “l’intelligenza della santità”. A far da carnefici a questa umanità ecco Gli Infelici Molti, carogne dell’establishment, filistei e borghesi con la loro morale di carcerieri. Tutto condensato in versi potentissimi come questi: “L’arabesco indecifrabile/ è dato per la gioia del suo movimento, non per la soluzione del suo/ teorema.”, che sintetizzano perfettamente la visione della Morante; ciò che conta è il fluire non il senso, il moto perpetuo di parole che colano come lava, l’arabesco, la spirale. Si sovrappongono i luoghi della geografia, le epoche della storia e tutto, il dramma come la commedia, si configura come un enorme gioco, la parodia è la strada e i versi sono tracce di questa vitalità in cerca di una verità fuori dal coro. Rivoluzione era la parola magica di quegli anni e qui risuona nella sua potenza in verità disperata.

Questo è un dramma in cui la contemporaneità si mescola con echi millenari, alla ricerca di quella realtà comune, di quello stato di beatitudine rivoluzionaria, di santità profondamente antidogmatica. Infatti, la Morante è dalla parte degli eretici bruciati, dei folli, dei ragazzini; contro la pesantezza delle auto di lusso dei membri dell’establishment, la Morante si schiera dalla parte delle vittime della moltitudine crudele.

Movimento continuo, flusso come di torrente impetuoso, eccezionale capacità di condensazione aforistica, densità e ricchezza di temi, estrema variabilità, all’interno però di un discorso intellettuale preciso e fondamentalmente unitario, pur nella dispersione molto moderna che la Morante ha scelto come cifra stilistica; queste cose rendono Il mondo salvato dai ragazzini un capolavoro di lucidità e follia poetica, che a distanza di più di quaranta anni conserva il suo fascino beat e ci seduce con la sua straordinaria modernità di scheggia.

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Il mondo salvato dai ragazzini- Elsa Morante- Einaudi - 1968

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