Trionfo dell'amore - Vicente Aleixandre

sabato 22 giugno 2013





Dietro un titolo un po’altisonante e vacuo come Trionfo dell’amore, si cela una interessante  antologia poetica di uno dei massimi poeti spagnoli del Novecento, Vicente Aleixandre, che fu insignito nel 1977 del premio Nobel per la letteratura.  La raccolta, tradotta da Dario Puccini, che fu originariamente pubblicata nel 1972 da Edizioni Accademia, parte da Ambito (1928) per arrivare a Poesie della consunzione (1968), sintetizzando dunque una parte importante del percorso poetico compiuto dal poeta spagnolo, nato nel 1898, come Federico Garcia Lorca, e morto nel 1984.

La prima cosa che noto è la dirompente potenza icastica del linguaggio, astratto, visionario, insieme terribilmente carnale e potentemente metafisico. E’ una duplicità che sembra essere la cifra stilistica di Aleixandre, che concepisce la lingua poetica come un labirinto di significati contradditori, come un’arena dove il toro, elemento primigenio, danza con il torero, simbolo della civiltà umana.

Cultura e cosmo, vita animale e vita umana, sembrano intrecciarsi e fondersi. L’insieme dà il capogiro e sembra conciliare elementi di surrealismo con preziosismi barocchi e con echi di creazionismo,  e conferma ancora una volta che il fine del poeta è suscitare la meraviglia, lo stupore, come nei versi di Giovan Battista Marino: “E’ del poeta il fin la meraviglia,/ parlo dell’eccellente e non del goffo,/chi non sa far stupir, vada alla striglia!”

E’ la ricerca della grazia a muovere le parole del poeta, grazia non umana, celeste, primigenia, in cui gli elementi ancestrali sono modellati come epifanie di un cosmo di pura astrazione, come manifestazioni di un ordine immaginifico più reale della realtà stessa. Aleixandre non sopporta limiti, barriere, confini, il suo verso vuole straripare costantemente e inondare il mondo con la sua luce dionisiaca.

 Misteriosa la poesia Non esiste l’uomo inizia con questi strani versi: “Solo la luna sospetta la verità./ Ed è che l’uomo non esiste. “

Questa poesia si configura come un’accorata ode alla luna, frammento di un cosmo indifferente all’uomo, luna che è vista come una potente entità spettrale che penetra in profondità nella mente del poeta e nelle fibre segrete del mondo intero. Il linguaggio di Aleixandre è insieme teneramente essenziale e fastosamente barocco, in bilico fra la sintetica sentenza affilata e una dimensione torrenziale, è espressione rutilante di forza immaginativa, che sembra inseguire “la verità tangibile di un corpo che sussulta” e insieme la “repentina coscienza di una/ compagnia là nel deserto”; in questa dimensione l’uomo è come un lampo serrato “fra due oscurità”, in perpetua ricerca dell’altro.

L’amore sembra essere una realtà centrale, ed è ”senza prima né poi”, ma in ultima analisi si configura come una realtà amara, dolorosa ”perché l’amore è triste”, come recita un verso della poesia intitolata Nascita dell’amore, tratta dalla raccolta Ombra del paradiso.

 Il libro centrale, quello che maggiormente sintetizza il pensiero di Aleixandre, quello in cui il poeta spiega ciò che origina le sue visioni, è indubbiamente Storia del cuore (1958).

Qui leggiamo poesie come Nella piazza, dove il poeta racconta della sua fascinazione per il turbinante mondo della città, con le sue strade e le sue folle che trascinano, fuse in un unico cuore, in unico battito, che egli  ha il compito di cantare. Esattamente come il Baudelaire de Lo spleen di Parigi, Aleixandre ci mostra la potenza della città, vortice in cui è bello perdersi, naufragare, smarrirsi: “Ma è puro e bello struggersi nella felicità/ di fluire e di perdersi/riscoprendosi nel moto con cui il gran cuore degli uomini/ palpita a distesa.”

Negli ultimi versi di questa straordinaria poesia avvertiamo nitidamente l’emozione del poeta nel sentirsi parte della folla definita “ torrente che ti reclama”, luogo in cui è possibile essere se stessi, come in un incantesimo di fraternità universale. E’ presente anche lo sforzo di uscire da se stessi, per accogliere l’altro, per abbracciare il mondo, c’è in questi versi il tentativo di uscire dalle anguste prigioni del narcisismo: “non ti cercare nello specchio/ nello spento dialogo in cui non ti senti.”

Nelle successive raccolte la voce di Aleixandre progressivamente si affina e la sua poesia diventa un’indagine sospesa fra filosofia e natura, fra ricerca gnoseologica e quadro naturalistico.

Nella poesia Per chi scrivo scopriamo chi sono i destinatari del messaggio poetico di Aleixandre: paradossalmente sono proprio coloro che non lo leggono e lo ignorano: il “vecchio che s’addormenta nella panchina”, la bambina che passa e che lo osserva, la vecchia che  molte vite ha messo al mondo e che stanca vede passare l’esistenza davanti alla sua porta. E poi ci sono le figure quasi archetipiche: l’assassino, la ragazza innocente, il mare infinito. Il canto del poeta spagnolo esalta ”tutta la materia del mondo” che nei suoi versi assurge a una dimensione metafisica.

Così la verità s’impone come la luce del sole su un altipiano, oltre il dubbio, oltre l’ombra, oltre la dimensione chiusa e finita dell’umano vagabondare. Ed è una rivelazione: “L’essere, l’essere senza tempo,/ e un fiume passa, e tremano le stelle.”



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