L'ora presente - Yves Bonnefoy

sabato 9 novembre 2013






L’ora presente del poeta francese Yves Bonnefoy si configura soprattutto come un’acuta e sofferta indagine nei meandri, nei miraggi, nei sogni, nei chiaroscuri della parola. Con un linguaggio scarnificato fino all’essenza il poeta, giunto ai novantanni, in questa sua opera, pubblicata in Francia nel 2011 ed edita in italiano  nella traduzione di Fabio Scotto da Mondadori nel giugno del 2013, elabora una poesia che si situa sulla soglia, in una zona di confine fra sogno e veglia, coscienza e inconscio, realismo e allucinazione, essere e apparenza. Il libro è un prosimetro perché accanto a sonetti, poesie e poemetti, troviamo delle prose evocative, intense, rarefatte.

E’ un’operazione di grande modernità che conferma la vena di un’ispirazione che ha reso Bonnefoy fra i poeti francesi più decisivi del nostro tempo, più volte candidato al Premio Nobel. La parola, la sua ombra, i suoi miraggi, i suoi sogni, la sua pericolosa inconsistenza, la sua opacità, il suo grido, tutto viene analizzato con raffinatezza e il procedere poetico di Bonnefoy pare un fiume quieto in cui si riflette la sua voce, chiara, sommessa, torturata internamente dall’insolubile enigma  dell’amore e della morte. Questa è la creazione di un tempo sospeso, la fragile erranza di un sentimento del sacro, il divagare onirico intorno al fuoco fatuo del pensiero. La similitudine fra acqua e linguaggio è evidente nella poesia Le nostre mani nell’acqua: “Noi immergevamo le nostre mani nel linguaggio”. In quest’acqua che è il linguaggio il mondo intero riposa, tanto che Bonnefoy scrive:  Altri sapranno cercare più nel profondo/ Un nuovo cielo, una nuova terra.” In questa dimensione il poeta pare un palombaro che, immergendosi nel flusso delle parole, cerca la sostanza stessa delle cose, trovandosi, però, più spesso, impigliato in un gioco d’ombre, perché “La parola non salva, talvolta sogna”.

Davvero il girotondo di Bonnefoy intorno alla parola esprime la profonda fragilità dell’essere umano, il suo essere in balia di significati oscuri, nella consapevolezza che la parola stessa, pure riconosciuta come fondamento del mondo umano, non rende la cosa ma la sua idea, la sua ombra. Nello straordinario poemetto eponimo, L’ora presente, tutto questo si concentra mirabilmente con una serie di rimandi ed echi  fra parola, immagine, desiderio, con versi di grande intensità, come affinati dal fuoco di un’immaginazione filosofica: “E la morte come al solito? E non essere stati/ Che un’immagine ognuno per l’altra, attizzando/ Un focolare, soltanto nelle nostre memorie, […]”. Lo scopo di questa operazione è titanico: “Riprendi i tuoi vocaboli dalle mani erranti della folgore” , per sfuggire così al nulla, alla cancellazione e alla consumazione delle parole.

Evanescente, sfuggente, impalpabile, onirica, così si conferma ancora una volta la parola della poesia. Evanescente talvolta fino all’inconsistenza che serve, però,  a denunciare implacabilmente la tragica mancanza di solidità dell’intera vicenda umana.

Quella di Bonnefoy è inevitabilmente una poesia enigmatica, allusiva, umbratile, solenne, che s’avventura in territori ignoti e cerca una dimensione di sospensione in bilico fra sogno e realtà, dove il sogno scava nel reale e viceversa. “Nell’abisso delle parole” il poeta si tuffa e nuota nel mare del sogno e ”il suo volto è la maschera che sono le parole della poesia”. Ecco il segreto dei versi rivelato: la maschera. E dietro la maschera: contraddizione, moltitudine, infinità. E sempre si affonda nel mistero della parola, la sua inesauribilità, la sua potente illusione, il suo fascino oracolare ed evocatore, il suo eccedere lo stesso senso logico. Quello di Bonnefoy è il discorso di una Sfinge, la domanda che pone implicitamente al lettore è questa:  “Cos’è la parola di cui siamo fatti? Buio, notte o ”guado d'una luce”? Noi vacilliamo davanti a questa domanda e in questo tremito c’è forse l’unica possibile risposta.










6 commenti:

Logos ha detto...

Come sempre la tua è una lettura profonda e penetrante.
Parlammo di Bonnefoy (il poeta più connettivista) nella prima Ermetica Ermeneutica.
Poeta husserliano che in questo ultimo testo si libera, a mio parere, di costruzioni filosofiche e libera la parola alla sua pura realtà di incanto magico.
Le prose di questo testo sono piccole gemme (dal sapore quasi fantascientifico?).
Bonnefoy merita di essere ricordato tra i grandi.
Ciao
Logos

cara polvere ha detto...

grazie Ettore per la considerazione al video di Artaud. la voce prima della parola la 'crudeltà' che non è dramma. ho allentato le letture dei blog in rete un po' avvolta a seguire strade forse inutili. me ne scuso.
caro saluto
paola

Ettore Fobo ha detto...


@ Logos

Ricordo la nostra discussione a
Stienta in cui affiorò più volte il nome di Bonnefoy. E’ un poeta che scandaglia la realtà con un approccio filosofico, che in questo testo si libera, come dici tu, dalle concettualizzazioni e attinge all’essenza. E’ uno dei grandi poeti del nostro tempo, una guida. Ho appena acquistato “Assi curve”, una sua antologia poetica di qualche anno fa. Ciao, Logos.

Ettore Fobo ha detto...


Un caro saluto anche a te, Paola, grazie del passaggio.

Logos ha detto...

Ciao Ettore,
mi permetto però di consigliarti del nostro Bonnefoy il suo primo, potentissimo, testo: Movimento e immobilità di Douve.

"Ti vedevo correre sulle terrazze,
ti vedevo lottare contro il vento,
il freddo sanguinava sulle tue labbra.
E ti ho vista lacerarti e gioire di essere morta, tu più bella
della folgore, quando macchia i vetri bianchi del tuo sangue."

Ettore Fobo ha detto...


Cercherò anche quest’opera, Logos. Grazie del consiglio.