Rock Bazar – Massimo Cotto

sabato 3 gennaio 2015





L’impressione globale di questo libro ponderoso, oltre  quattrocento pagine,  è che la vita delle rockstar sia tutt’altro che scintillante, anzi veramente misera. Massimo Cotto probabilmente non avrebbe voluto suscitare questa sensazione ma Rock Bazar, libro nato dall’omonima trasmissione radiofonica di Virgin Radio ed edito da Vololibero nel 2014, è una raccolta di storie spesso assurde, dove a dominare non è il fascino del maledettismo rock ma un senso di pena per questo gruppo di  sbandati  che sono le rockstar. Bambini viziati cui la vita  ha dato tutto - o quello che solitamente si considera essere tutto - (soldi, donne, fama) che,  a parte la musica, pensano  solo a stonarsi all’eccesso con alcol, sesso e droghe, distruggere stanze d’albergo, fare scherzi idioti.

Forse questa avrebbe voluto essere un’agiografia in cui questi eccessi fossero celebrati, risulta essere invece la cronaca di imbecillità straordinarie solo perché qualcuno le ha rese mitiche. C’è qualcosa di divertente in Keith Moon, batterista degli Who,  che getta un televisore nella piscina dell’albergo?  No, è  solo una  dimostrazione di follia e stupidità. C’è qualcosa di epico o arguto in John Bonham dei Led Zeppelin  che arriva a defecare in due scarpe da donna che trova fuori da una stanza? No, ancora imbecillità gratuita e maleducazione. Merita di essere raccontata la vicenda di uno che si dipinge il pene di verde e lo mostra agli esterrefatti ospiti di un albergo, come fece uno dei Beach Boys,  Brian Wilson, che Cotto definisce il più matto di loro? E così via in una sequela  horror di follie che se fatte da uno qualunque gli varrebbero un TSO, fatte da ricconi con la chitarra, rischiano di entrare nel mito.

Ben miseri miti questi  in un ben misero mondo. Diversi di  questi personaggi, da Mick Jagger a Jim Morrison,  da Jimi Hendrix a Janis Joplin, da Ozzy Osbourne a Kurt Cobain, da  John Lennon  a  Sid Vicious e molti altri,  risultano sminuiti da esseri leggendari a poveri ubriaconi o tossicodipendenti senza speranza e qualcuno addirittura a potenziale scemo del villaggio. Intendiamoci, c’è un sostrato di disagio mentale che in qualche caso può suscitare anche compassione come nel caso del suicidio di Ian Curtis dei Joy Division,  o la vicenda umana di Janis Joplin (iscritta a sua insaputa per atroce scherzo  al concorso di ragazzo più brutto del college che frequentava), o ancora emoziona il racconto del  commosso omaggio di Jimi Hendrix a Martin Luther King,  il giorno in cui quest’ultimo  fu assassinato ma la maggior parte di queste storie sono barzellette che non fanno ridere, aneddoti che causano sgomento in chi li legge e disprezzo verso i protagonisti di queste buffonate, in cui tra l’altro troppo spesso manca l’ironia e c’è invece arroganza. Se non vince lo sgomento, ecco la noia.

Urge dunque una riflessione: c’è alla base una visione completamente alterata dell’artista rock di cui Massimo Cotto non è colpevole ma il contesto culturale in cui viviamo per cui la rockstrar  sarebbe un essere bizzarro, folle, estremo, cui tutto è permesso. La banalità del genio e sregolatezza, che può avere qualche valore solo nell’adolescenza, che assurge a modello di vita, quando tutti sanno che il vero genio è rigore, lavoro e fatica. E dietro questa visione,  alterata ad hoc per incantare l’immaginazione degli adolescenti, da sempre principale target del rock,  il cinismo dell’’industria discografica che lucra sul malessere di questi personaggi borderline, tanto geniali nella loro arte quanto malati, e a volte brutalmente corrotti,  nel profondo.

C’è dunque qualcosa di storto in questo libro, Massimo Cotto a volte  sembra connivente con una visione del rock che lo declassa a subcultura per adolescenti in vena di fare qualche scherzo idiota. Il racconto scivola leggero e suadente ma i contenuti troppo spesso sono risibili. Comunque anche se non consiglio la lettura del libro, che pure  ha il pregio  di essere il prodotto di un’affabulazione radiofonica interessante,  esso mi è stato utile,  perché,  anche se involontariamente,  sfata dei miti, riconduce sempre involontariamente la sregolatezza dall’empireo dell’atto magico alla più banale espressione di disagio psichiatrico non curato. Perché l’accumulazione di queste storie (575) se stordisce il lettore con la ripetitività delle situazioni descritte  può avere, però,  un fatale effetto liberatorio. Pensavate che i rocker fossero belli e dannati?  Spesso dietro la loro maschera scintillante, si cela il vuoto che essi come tutti i poveracci umani cercano di colmare, spesso in maniera stupida.

Epitome del rock Syd Barrett che sul palco durante un concerto dei Pink Floyd   guarda nel vuoto e ripete sempre lo stesso accordo. Fine ingloriosa di un talento musicale dannato dall’ Lsd. Fine ingloriosa di una generazione che voleva aprire “le porte della percezione”  e alla fine ha perso la propria mente, gettandola nel vuoto, con l’innocente noncuranza della giovinezza.

4 commenti:

Bartolo Federico ha detto...

Cotto è sempre stato un chiacchierone, un lisciapelo si dice da noi. uno che vuole piacere a tutti. fa solo del male al rock'n'roll. buon anno Ettore.

Mia Euridice ha detto...

"... cronaca di imbecillità straordinarie solo perché qualcuno le ha rese mitiche..."
Ho la sensazione che questa logica venga spesso applicata anche al di fuori, o al di là, del rock.

Ettore Fobo ha detto...

@Federico

Bella espressione lisciapelo. Anche a me Cotto è sembrato uno che vuole piacere a tutti, un piacione, insomma. Grazie del commento, Federico, e buon anno a te.

Ettore Fobo ha detto...

@Euridice

Penso sia sempre più la logica della nostra società dello spettacolo. Gli uomini venerano la fama, non il valore. Proprio in questi giorni rileggo i “Pensieri” di Giacomo Leopardi, dove si trova questa considerazione. È un libro glaciale e definitivo e inoltre - nonostante la visione amarissima di fondo - una lettura di grande consolazione.