Hotel Artaud all’alba

sabato 16 gennaio 2016







È  l’alba.
Tremila silenzi giacciono sventrati,
come palloni aerostatici rotti.
Silenzio dove ascolti gli Stati Uniti.
Silenzio dove ascolti il Giappone.
Silenzio dove ascolti la Colombia.
Silenzio dove ascolti la Romania.
Silenzio dove ascolti il Senegal.
Silenzio dove ascolti la Nuova Zelanda.
Silenzio dove ascolti Garcia Lorca
intonare un madrigale alla luna di Siviglia.
All’Hotel Artaud passo le mie notti,
vegliando sull’estasi di San Juan de la Cruz,
che mi ha donato questa penna d’alabastro
con cui scrivo la notte immensa  e la fragile alba.
Nomino la grande creola che mi visitò in sogno,
nomino il re senza corona che vive a San Francisco
e fa il barbone. E sogna.
Nomino la puledra che mi regalò Hemingway in sogno.
Nomino il gran gioco dell’esistenza come una festa lussureggiante.
Nomino il tempo che non passa e il tempo che si celebra.
All’Hotel Artaud non c’è altro che un dipinto,
che ritrae il mio volto scomposto in 17 urla
da Francis Bacon, pittore irlandese.
                                                                                                                                             Ettore Fobo


Questa poesia si trova in “Diario di Casoli" e  nelle edizioni romena e francese di  “Musiche per l’oblio”.



4 commenti:

Sabrina ha detto...

(Va letta senza nulla aggiungere, in silenzio, le parentesi come isolanti acustici. Perché lo scrivere "in un certo modo" fa più rumore che il parlare.)

Ettore Fobo ha detto...


È una poesia che ho recuperato e ricostruito partendo da alcuni versi che avevo sognato. Mi capita. Grazie, Blu Malva.

Massimo ha detto...

Ma che bella, complimenti!

Ettore Fobo ha detto...


Grazie, Massimo. Mi è stato comunicato da poco che in estate la versione tradotta di questa poesia verrà pubblicata sulla rivista francese Alindex.